bc2012#10 | L’inizio di un trekking

Posted on 17 settembre 2012

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Kathmandu: sulle rive del Bagmati, che attraversa il quartiere induista di Pashupatinat, si consuma un rituale funerale induista, con il cadavere che viene bruciato su una catasta di legna prima di venire trasportato nel suo ultimo viaggio dalle acque del fiume sacro

L’inizio di un trekking (Round Annapurna)

di Stefano Gandolfi (Alessandria)
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Inizia il cammino, siamo a bassa quota, 840 metri sul livello del mare, e appena spunta il sole fa un caldo bestiale, c’è afa e sudi solo a respirare,

la visione del Manaslu appena dopo aver girato dietro al lodge ti fa per un attimo trascurare quel leggero fastidio che ti prende all’ inizio di ogni trekking.

I giorni precedenti ti hanno allentato la tensione e comunque ti hanno consumato energie per il fuso orario, i bioritmi sballati, le venti ore di aereo passando da Bangkok per poi ripiegare su Kathmandu… la cremazione dei cadaveri sulle rive del Bagmati a Pashupatinat secondo le tradizioni induiste, nonostante già vissuta in precedenti viaggi, rimane uno spettacolo impressionante e ti brucia molte energie psichiche, perché il mestiere del viaggiatore è molto differente da quello dell’ alpinista o del trekker, e la cosa migliore sarebbe poter fare il “turista” al termine dell’ impresa sportiva, quando ti puoi rilassare, mangiare quintali di bistecche di yak per ripristinare le masse muscolari, scattare centinaia di foto, bere litri di birra e scherzare con gli amici… ma a Kathmandu devi sempre fermarti almeno un giorno per organizzare la logistica, il trasporto fino a Pokhara, i portatori, comprare l’attrezzatura mancante e farti l’ultima doccia… poi entri in un’ altra dimensione.

Ma che czz…! siamo venuti per andare in alto e ci ritroviamo a camminare così bassi che nemmeno sull’appennino ligure, abbiamo fatto colazione all’aperto e al primo raggio di sole abbiamo subito cominciato a sudare, da fermi; gli zaini sembrano pesantissimi, anche se la maggior parte del bagaglio è trasportato in spalla dai portatori, contenuto nei sacconi da viaggio, e noi ci portiamo solo le cose della giornata, un ricambio, il guscio anti pioggia e vento, bottiglie dell’acqua, reflex e videocamera.

Non si riesce a trovare il ritmo, il passo giusto, ma soprattutto non ci siamo ancora con la testa!

All’alba del primo giorno di trekking, già nell’afa della bassa valle, verde e fertile, appaiono come un miraggio, appena superate le ultime case del villaggio, le cime del Manaslu

Dunque un inizio lento, attraversando villaggi di una povertà dignitosa, sicuramente toccati da un modesto benessere (per i loro parametri) legato alla elevata frequentazione dei turisti: si tratta di una delle due zone di trekking di gran lunga più rinomate e frequentate del Nepal, insieme alla valle del Khumbu che porta al cospetto dell’ Everest, e il ricordo di questa nostra prima avventura vissuta qualche anno prima, ci ha fatto accendere la scintilla per superare l’apatia della prima giornata di cammino.

Nei primi giorni di marcia dormiamo nei lodge, alcuni sono molto spartani e fanno rimpiangere le tende nelle quali staremo senz’altro più comodi nelle tappe successive in alta quota; altri sono gradevoli, con un po’ d’acqua calda nelle docce e talvolta anche con l’energia elettrica fino a tarda sera; nelle prime tappe, fino a tremila metri di quota si sente ancora il caldo e di notte si abbandona ben presto il sacco pelo di piuma e si dorme scoperti, seminudi; siamo a venti gradi di latitudine nord, molto più a sud rispetto alle nostre alpi, per cui, come già nella valle del Khumbu, continuiamo a lungo ad attraversare paesaggi verdi, piacevoli e rilassanti; ed il clima, in autunno inoltrato, è quello della piena estate da noi; le grandi montagne sono ancora distanti, le cime da 4000-5000 metri che ci sovrastano nella marcia sembrano modeste collinette, dopo l’apparizione del Manaslu al primo giorno, dobbiamo aspettare cinque giorni prima di vedere l’estremità orientale dell’Annapurna Range: le distanze sono enormi, gli spazi sembrano richiedere una quarta dimensione per poter essere giustificati e compresi, le differenze dalle nostre montagne sono tante, ma una cosa appare subito in tutta la sua evidenza: l’enormità degli spazi.
Forse solo il massiccio del Monte Bianco può, parzialmente, avvicinarsi a questa misura, ma in un contesto molto più antropizzato e addomesticato; in Himalaya, (perlomeno fino a che non arriveranno i capitali cinesi con cui costruire alberghi a cinque stelle al campo base dell’Everest ed autostrade a quattro corsie per arrivarci comodamente in jeep), tutto è enormemente più vasto e primordiale e si percepisce, psicologicamente e materialmente, la distanza dalla civiltà.

E finalmente ci si avvicina all’Annapurna… arrivederci al prossimo blog!

Ponti tibetani, bandierine di preghiera, piccoli lodge colorati a ridosso delle pareti montuose, accompagnano i trekkers nel loro cammino verso l’Annapurna range